sedicesimo anno, 8 + 11>14 maggio 2006, momento maggio
“Angelica” imbarazza Guglielmi
“Il problema di Bologna, delle sue istituzioni, Comune, Provincia e Regione, è che sono completamente prese dall’idea di conservazione, mentre premono alle loro porte persone, soggetti, associazioni che chiedono di creare percorsi creativi nuovi”. Per Mario Zanzani, fondatore di Pierrot Lunaire e del festival internazionale di musica Angelica, che ieri ha posto questa questione agli assessori direttamente interessati, è un problema di risorse, ma non solo di denaro. Angelica, curata da Massimo Simonini, giunta al sedicesimo anno di attività, gratificata dai non fraintendibili complimenti di ogni amministratore, da diversi anni chiede una sede permanente a Bologna, un teatro o qualcosa di simile che consenta ai musicisti di suonare, e non si sa se l’otterrà.
(Brunella Torresin, La Repubblica, 5 maggio 2006)
Il Comune cambia musica
Il longevo festival (bolognese di nascita ma internazionale per attitudine e contenuti) ha presentato ieri il sedicesimo anno di attività, abbandonando definitivamente il concetto di edizioni che lo periodicizzavano, quasi a voler iniziare la scrittura di una nuova era.
[…] E così Angelica ha preso, negli ultimi anni, sempre più le sembianze, assolutamente contemporanee, dei festival internazionali che non si concentrano in un unico periodo, ma producono eventi, conferenze o workshop durante tutto l’anno, anche per evitare la iper-concentrazione di contenuti in un solo mese.
(Benedetta Cucci, Il Resto del Carlino, 5 maggio 2006)
“Momento Maggio” è tempo di Angelica
Angelica Festival, per dirla con le parole dell’assessore alla cultura del Comune di Bologna, “ha il merito di portare in città più importanti musicisti tra esecutori e autori (spesso entrambe le cose) che la scena mondiale propone.
Angelica, musica contemporanea tra Bologna e Modena
Alta qualità della proposta, dunque, sebbene il clima non sia proprio “paradisiaco”. L’ostacolo: i finanziamenti più che dimezzati rispetto agli anni precedenti, con cui il Comune di Bologna ha affannosamente appoggiato l’evento e di cui il direttore Mario Zanzani non è riuscito a nascondere il rammarico: “Per il suo dinamismo, il festival ha bisogno di risorse attualmente improponibili. La città è piena di gente che si propone per creare una valida proposta culturale, ma le istituzioni locali non riescono a incanalare queste spinte in una direzione comune”.
Bologna, Reggio Emilia, Modena 5>8 ottobre
Concerti contemporanei anno terzo, Ornette Coleman un’idea armolodica
Tre concerti con il maestro del free jazz
Un percorso sempre ‘contro’ per il creatore dell’armolodia, la teorizzazione musicale che prevede come l’armonia debba seguire l’istinto improvvisativo del solista e non viceversa. Fra Bologna, Modena e Reggio il prossimo ottobre, partirà questo nuovo viaggio esplorativo alla scoperta del pianeta Coleman.
(Il Resto del Carlino, 28 agosto 2006)
Ornette Coleman, tour in Italia. “Lavoro come uno scienziato alla ricerca del suono più puro”
“Non penso più a trovare le note, cerco il suono”: a parlare è Ornette Coleman, il settantaseienne compositore e sassofonista che, a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, ha rivoluzionato il jazz introducendo il “free”, quella libertà che ha poi condizionato lo stile di tutti gli altri. “Cerco di raccontare il mondo attraverso la voce del mio sassofono. Sono nato in una famiglia povera, a sette anni ho perduto mio padre, ero disorientato, poi ho trovato un sax, ha provato a suonarlo, ho capito che quello strumento mi avrebbe aiutato. Ma non c’erano soldi per acquistarne uno. Il primo l’ho avuto a 13 anni. Una mattina mia madre mi ha chiamato, mi ha detto: guarda sul letto, c’era il sax che desideravo. Gli altri strumenti, la tromba, il violino, sono venuti più tardi, per potere avere altre voci. Non ho la tecnica del virtuoso e non mi interessa, mi servono soprattutto per il lavoro di composizione, avere altri suoni, altre possibilità”.
(Vittorio Franchini, Corriere della Sera, 10 settembre 2006)
Tre giorni col jazz di Coleman
È dunque un vero evento il suo arrivo in regione. Il motore della rassegna è l’associazione bolognese Pierrot Lunaire, inventore di Angelica Festival.
(Marina Amaduzzi, La Repubblica, 29 settembre 2006)
Ornette si fa in tre. Arriva il Coleman più inedito
Dove finisce il tempo delle certezze, dello sguardo unilaterale, delle corrispondenze esatte, lievita la pura improvvisazione free, delle più cervellotiche e struggenti. Una seduzione che porta una griffe con una denominazione di origine controllata: Ornette Coleman.
(Gian Aldo Traversi, Il Resto del Carlino, 29 settembre 2006)
Coleman contemporaneo
Quelli di Angelica (Mario Zanzani e Massimo Simonini) non smettono di stupire, per fortuna, di stupire con le loro proposte.
(Sabrina Camonchia, Il Domani, 29 settembre 2006)
Free Ornette Coleman
Ci scuserà il lettore, ma di questo passo servirebbe l’intero Alias per dare l’immagine di Ornette Coleman. […]Ma sa suonare tutti questi strumenti? Un insegnante di conservatorio vi direbbe di no, e a buon diritto. Egli pretende che gli strumenti vengano utilizzati per suonare la musica che altri, non lo strumentista sotto esame, hanno scritto. Quest’ultimo dunque deve saper suonare quel che è richiesto da una montagna di partiture, negli stili più diversi, superando con scioltezza ogni difficoltà. Ma Coleman sta suonando la sua musica, così come Thelonious Monk, altro musicista delle cui qualità pianistiche molti dubitarono a lungo, ha suonato la propria. A nessuno dei due serve una tecnica né superiore, né diversa da quella che utilizzano. La prospettiva interessante cui Coleman si apre non consiste nel modo in cui usa lo strumento ad arco o l’ottone, ma nell’indifferenza delle note che con essi intona. A quanto appare non gli servono che quelle qualità del suono, i registri che usa, l’intensità sia per quel che concerne il volume dell’emissione che per lo stacco che utilizza, grenetico in genere con l’archetto, più distillato e diviso con l’ottone. Ciò avvicina molto il musicista a una concezione spaziale della musica, a un’idea di accumulazione che si connatura nel gestuale, incontrando finalmente quel Pollock che inFree Jazz compariva non più che come un’allusione o, forse, un desiderio (ma non lo crediamo). Il campo sonoro diventa l’alternativa a quel fluire cui si rinuncia e in quel campo hanno luogo provvisorie costruzioni che sono da cogliere come fasi spaziali. Il costrutto si espande per scarti.
(Giampiero Cane, Il Manifesto – Alias, 29 settembre 2006)
Torna Ornette Coleman maestro del free jazz
Ornette Coleman protagonista di tre concerti, un documentario e altri incontri. Il padre del free jazz presenterà a Bologna anche la suite Skies of America (1971). Il 5 e il 6 a Bologna, il 7 a Reggio Emilia, l’8 a Modena.
(Claudia Provvedini, Corriere della Sera, 2 ottobre 2006)
Coleman: “Il sax è il mio giocattolo. Come quando ero un bimbo povero”
E ora, passati svariati decenni, Ornette il saggio si ritrova a suonare con l’entusiasmo di un ragazzo, quasi un marziano in un mondo di musicisti che soffre lo stress della ripetitività. Torna con il disco appena uscito, registrato con il sorprendente quartetto con due contrabbassi (Greg Cohen e Tony Falanga), più il figlio Denardo alla batteria, già applaudito a Umbria Jazz. E torna dal vivo al festival Angelica per tre concerti straordinari, il 5 ottobre a Bologna, dove suonerà la suite sinfonica Skies of America con il quartetto (Cohen impegnato è sostituito da Al McDowell al basso elettrico) e l’Orchestra del Comunale di Bologna, il 7 a Reggio Emilia e l’8 a Modena con programmi diversi per il solo quartetto.
[…] “Chiesi alla mamma se potevo avere anch’io un sax, ma non c’erano soldi neppure per mangiare. Tre anni dopo l’ho avuto e ho cominciato a usarlo come un giocattolo. Ancora oggi è con quello spirito che continuo a fare musica. Quello che c’è di buono nella musica è che la possono fare tutti, non è riservata a una razza, non c’entra se sei povero o ricco, bello o brutto. La musica è molto più democratica della politica. Tutti possono suonare: se sei attratto da uno strumento, usalo e, dopo 20 minuti, sarai già capace di suonare qualcosa. Qualcosa che continuerai a migliorare giorno dopo giorno. La musica non ha leader, puoi trovare solo insegnanti che ti aiutino a evitare gli errori”.
(Giacomo Pellicciotti, La Repubblica, 3 ottobre 2006)
Ornette Coleman, tributo all’estro
Non capita spesso che un artista o un’opera segnino il proprio tempo fino al punto da conferirgli il nome con cui dopo lo ricordiamo. Eppure, quando Ornette Coleman registrò con il doppio quartetto i 36 minuti di improvvisazione collettiva che poi, riversati sul vinile, presero il nome di Free Jazz, fece esattamente questo: inventò qualcosa che da allora corrisponde a un riconoscibile periodo della vicenda jazzistica e a una precisa modalità di approccio musicale.
[…] Ancor più preziosa è dunque l’occasione che lo vede ospite di una quattro giorni tutta emiliana in cui si potrà incontrarlo, assistere alla proiezione di un film a lui dedicato e seguirlo in ben tre concerti. Si tratta di un progetto promosso dal Festival Angelica e intitolato “Ornette Coleman – Un’idea armolodica”. […] Si tratta di un’occasione da non perdere per almeno due serie di motivi. Prima di tutto perché la rarefazione delle uscite pubbliche rende particolarmente preziosa l’occasione di ascoltare un musicista che ha già compiuto 76 anni; secondariamente perché, forse anche a causa di questa rarefazione, scarseggiano nel nostro paese i momenti di incontro e riflessione con artisti di quel rango.
(Giorgio Rimondi, Liberazione, 3 ottobre 2006)
Bologna in delirio per le invenzioni jazz della leggenda del sax
Il sassofono bianco nella mano destra, un cappello alla Lester Young, un completo nero con chiazze color oro, che assomiglia tanto a un dripping di Jackson Pollock quanto a un piatto di Gualtiero Marchesi. E la camminata lenta e dondolante, a suo modo tenera, di un uomo di settantasei anni, che però ha sempre e ancora il pensiero veloce di un tempo. Come quando nel 1960 spezzò radicalmente e con forza inaudita tutte le regole e i canoni in cui era costretta fino a quel momento la musica afroamericana: il bebop si faceva urlo informale e nasceva ufficialmente il free jazz. Ma Ornette Coleman non è stato e non è soltanto questo. È molto di più: è una delle figure più importanti del Novecento musicale. Il pubblico che lo aspettava in piedi l’altra sera quando è salito sul palco del Teatro Manzoni, per il secondo appuntamento di un progetto che lo vede coinvolto nelle città di Bologna, Reggio Emilia e Modena, lo ha accolto con un applauso infinito. Un progetto di quattro giorni promosso da Angelica Festival, che ha il ruolo di coordinamento e progettazione, dalle fondazioni Teatro Comunale di Bologna, I Teatri di Reggio Emilia, Teatro Comunale di Modena e dalla Regione Emilia Romagna, tutto incentrato attorno alla figura di Ornette, un musicista che già nel 1966 Stou Broomer, in un suo saggio dal titoloOrnette Coleman Outlook of the Sixties, collocava “tra quei visionari il cui lavoro caratterizza l’arte americana, accanto a Charles Ives, Henry Cowell, Jackson Pollock, Walt Whitman.
(Helmut Failoni, La Repubblica, 8 ottobre 2006)
E con Ornette a Modena spunta anche Patti Smith!
Occhi e orecchi tutti per lui, per Ornette Coleman, nella quattro giorni che Angelica e i teatri emiliani gli hanno dedicato, con un incontro, proiezioni, la celebre Skies Of America eseguita con l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Le ultime due sere poi, al Valli di Reggio Emilia e al Comunale di Modena, riservate al quartetto con Tony Falanga al contrabbasso, Al McDowell al basso elettrico e il solito – disastroso – figlio Denardo a picchiare incongruamente sulla batteria, hanno suggellato un successo annunciato e a tratti travolgente, con sorpresa finale.
Due concerti, quelli in quartetto, che sulla carta dovevano essere progetti distinti e che invece si sono mossi più o meno sullo stesso repertorio, con i consueti temi brucianti di blues alternati a ballad dilaniate di lirismo. Con gli inconfondibili completi a colori elettrici e cangianti, Coleman ha suonato in modo strepitoso, specialmente nella serata modenese, più generosa e ispirata: il suono ancora nitido, tagliente, che si inerpica sopra la rete tessuta dai due bassi (quello elettrico utilizzato prevalentemente con modalità di tipo chitarristico), linee che aprono squarci irresistibili. Per i due bis di Modena poi, a sorpresa sale sul palco Patti Smith, che gira timidamente attorno a Coleman e dà voce a una visionaria Lonely Woman; meno convincente – e opportuna – la cantante e poetessa americana si unisce al quartetto anche in una Turnaround che diventa così un blues più convenzionale. Maestro carismatico e emozionante del jazz degli ultimi cinque decenni, Coleman ha trovato in Emilia il giusto scenario per la sua musica ancora in grado di vincere le convenzioni e emozionare.
(Enrico Bettinello, Il Giornale della Musica, 9 ottobre 2006)
La conturbante bellezza del sax di Coleman
Tre diversi concerti di Ornette Coleman, a Bologna, Reggio Emilia e Modena e un incontro con il jazzista in una tavola rotonda con successiva visione del film documentario Ornette: Made in America di Shirley Clarke: è il progetto coordinato da Angelica, al terzo anno di “Concerti contemporanei” (dopo quelli dedicato a Karlheinz Stockhausen nel 2004 e a Heiner Goebbels, l’anno scorso).
A Bologna Coleman ha presentato il suo capolavoro Skies of America, concerto per quartetto jazz (il suo) e orchestra sinfonica (nella fattispecie quella del Teatro Comunale di Bologna ottimamente diretta da Aldo Sisillo). È un’opera che ancora una volta ha impressionato per l’impatto espressivo forte e provocante, fonte di inquietudine e di spaesamento per la sua caratterizzazione al contempo naive, dotta (ci sono richiami a Ligeti, Copland, Penderecki) e tecnica che rendono l’atmosfera cupa, di sorda trattenuta disperazione.
(Aldo Gianolio, L’Unità, 9 ottobre 2006)
Il genio di Coleman è sempre vivo ma per i fan ora è troppo “docile”
Una full immersion di quattro giorni consecutivi con Ornette Coleman come personaggio, sassofonista, compositore, direttore, e con la musica che continua a creare con vena inesauribile, ha fatto bene a molti. Almeno così si spera. Ha fatto bene soprattutto a chi conosca poco l’uno e l’altra: cioè ai giovani che chiedono giustamente di essere informati e ad alcuni «esperti» che al di là di malcelate ostentazioni, con Coleman hanno scarsa familiarità. Il maestro è stato invitato dai Concerti contemporanei di Angelica.
(Franco Fayenz, Il Giornale, 10 ottobre 2006)
Il jazz tra le nuvole
Una delicata, svolazzante, Lonely Woman, e primaverile, data dal quartetto di Ornette Coleman ha chiuso, quale bis, giovedì sera al Manzoni di Bologna il primo dei tre concerti emiliani del settantaseienne musicista di Forth Worth, col teatro esaurito e il pubblico in piedi ad applaudire per più di dieci minuti, mentre il sassofonista penetrava tra le file dell’orchestra del Comunale di Bologna che, diretta da Aldo Sisillo, aveva suonato l’unica pagina nel programma della serata, Skies of America, in una versione che un po’ ne migliora la qualità, ma non molto. Un abisso separava il programma dal breve bis, sicché i pochi minuti della vecchia canzone di Coleman sono bastati a far transitare il pubblico da un non proprio unanime apprezzamento all’entusiasmo che ha coinvolto tutti.
(Giampiero Cane, Il Manifesto, 10 ottobre 2006)