VOCI DALL’ALDILÀ X
…una rassegna di film,
un “viaggio nella memoria” su compositori scomparsi che continuano a rimanere tra noi…
decimo anno
Bologna, 7 + 11 + 14 + 18 febbraio 2017
un progetto di AngelicA in collaborazione con il Museo della Musica a cura di Walter Rovere
Inaugurata nel 2004 e giunta alla sua decima edizione, torna la rassegna Voci dall’Aldilà, promossa da AngelicA Festival in collaborazione con il Museo della Musica.
Questa decima edizione, come sempre curata dal musicologo Walter Rovere, vedrà quest’anno la proiezione di film dedicati a Ravi Shankar, Thelonious Monk, Steve Lacy, e a Demetrio Stratos.
I film di provenienza inglese e americana sono stati tradotti e sottotitolati appositamente; la proiezione su Monk (in prima italiana, in occasione del centenario dalla nascita del compositore) e quella su Steve Lacy, saranno introdotte dal critico e docente Giampiero Cane, mentre quella su Demetrio Stratos verrà introdotta dai registi Luciano D’Onofrio e Monica Affatato, e dal produttore discografico Oderso Rubini.
Gli appuntamenti con Voci dall’Aldilà si terranno alternativamente martedì 7 (Ravi Shankar) e martedì 14 febbraio (Steve Lacy) alle ore 20.30 al Teatro San Leonardo (Via San Vitale 63), e sabato 11 (Thelonious Monk) e sabato 18 febbraio (Demetrio Straos) alle ore 17 presso il Museo della Musica (Strada Maggiore, 34).
La rassegna prende il nome da un volume del 1968 di Konstantin Raudive, il più celebre studioso di emissioni audioelettromagnetiche di origine sconosciuta, analizzate e classificate dallo stesso Raudive come voci provenienti da persone scomparse. Analogamente ai processi psicologici inconsci di proiezione e condensazione, che tanta parte hanno nell’interpretazione delle cosiddette EVP (Electronic Voice Phenomena – fenomeni vocali elettronici), Voci dall’Aldilà accosta ‘voci’ di compositori scomparsi provenienti da ambiti e metodologie musicali diverse; ‘visioni interiori’ che in maniera più o meno evidente, sopra o sotto la soglia della coscienza, continuano
a dialogare con il presente.
martedì 7 febbraio – ore 20.30 – Centro di Ricerca Musicale / Teatro San Leonardo
RAVI SHANKAR
(1920 – 2012)
Between Two Worlds
di Mark Kidel
(Gran Bretagna 2002, – v.o. sott. it., 89’)
con Ravi Shankar, George Harrison, Philip Glass, Zakir Hussain, John Coltrane, George Avakian, Baba Khan
Già prima dell’incontro con George Harrison e con le platee rock di Monterey e Woodstock, Ravi Shankar aveva influenzato la svolta modale di John Coltrane, il minimalismo di Philip Glass e la nascita del rock psichedelico con Eight Miles High dei Byrds, creando al contempo scalpore nel mondo classico per i suoi duetti con Yehudi Menuhin. Shankar stesso ripercorre tutta la sua vita e la sua filosofia musicale in questo documentario realizzato in occasione del suo 80° compleanno.
sabato 11 febbraio – ore 17 – Museo della Musica
THELONIUS MONK
(10 ottobre 1917 – 17 febbraio 1982, nel centenario della nascita)
American Composer
di Matthew Seig
(Stati Uniti 1991, v.o. sott. it., 60’)
prima italiana
con Randy Weston, Billy Taylor, Thelonious Monk III, Orrin Keepnews, Ben Riley, Barry Harris, Marion White
Prod: Multiprises LLC
Tra i riconosciuti padri fondatori del Be Bop negli anni Quaranta, autore con Round Midnight di uno dei più noti standard della storia del Jazz, Monk fu tuttavia un “pianista dissonante, concettuale e astratto”, un autentico “musicista per musicisti” la cui figura verrà riconosciuta a pieno solo da musicisti d’avanguardia come Steve Lacy, Misha Mengelberg, Anthony Braxton, Alex von Schlippenbach e moltissimi altri.
introduzione critica di Giampiero Cane
Giampiero Cane è stato docente di “Civiltà musicale afroamericana” all’Università di Bologna. Presso l’editrice Clueb ha pubblicato Canto nero (1982) Facciamo che eravamo negri: il jazz e il suo backgrond (1988) Introduzione al jazz, alla storia e alle opere (con Pasquale Morgante, 1994) e MonkCage – Il Novecento musicale americano (1995). E’ critico musicale del Manifesto, e collabora con numerosi periodici specializzati.
martedì 14 febbraio – ore 20.30 – Centro di Ricerca Musicale / Teatro San Leonardo
STEVE LACY
(1934 – 2002)
Lift the Bandstand
di Peter Bull
(Stati Uniti 1985, v.o. sott. it, 50’)
con Steve Lacy, Steve Potts, Bobby Few, Jean-Jacques Avenel, Irene Aebi, Oliver Johnson
editor Ken Levis
Ambasciatore del sax soprano nel jazz moderno, tessitore di un universo musicale al tempo stesso intricato e terso, di ingannevole semplicità, il singolare genio di Lacy ha attraversato collaborazioni con Cecil Taylor, Thelonius Monk, Gil Evans, Don Cherry, Carla Bley, Misha Mengelberg, Giorgio Gaslini, Derek Bailey, Musica Elettronica Viva, Takehisa Kosugi, il poeta Brion Gysin, gli Area e il Kronos Quartet tra gli altri.
introduzione critica di Giampiero Cane.
sabato 18 febbraio – ore 17 – Museo della Musica
DEMETRIO STRATOS
(1945 – 1979)
La Voce Stratos
di Luciano D’Onofrio e Monica Affatato
(Italia 2009, 87′)
con Claudio Rocchi, Paolo Tofani, Patrizio Fariselli, John Cage, Gianni Emilio Simonetti, Joan La Barbara, Oderso Rubini, Sainko Namtchylak, Diamanda Galàs, Arrigo Lora Totino, Ambrogio Vitali, Nanni Balestrini, Fatima Miranda, Matteo Guarnaccia
Icona di un’epoca in cui musica, cultura, e militanza politica scorrevano parallele, dotato di una voce che si prestava a infinite sperimentazioni, dai Ribelli agli Area a John Cage il lavoro di Stratos si è esteso dai territori della musica pop a quelli di rock, jazz, musica contemporanea e dell’avanguardia più radicale, sempre a livelli insuperati. “La Voce Stratos” è un documentario che indaga la sperimentazione vocale di Stratos sia da un punto di vista scientifico, con la consulenza di otorinolaringoiatri esperti di voce, che da quello artistico grazie all’intervento di alcune tra le “voci” più significative del panorama della musica contemporanea. Il film è ulteriormente arricchito da registrazioni vocali inedite, gentilmente concesse da Claudio Rocchi, filmini super8 inediti dei Ribelli forniti da Gianni Dall’Aglio, e dalle foto di Silvia Lelli e Roberto Masotti.
introduzione di Luciano D’Onofrio, Monica Affatato, Oderso Rubini
Monica Affatato è nata a Torino. Come assistente alla regia e di produzione collabora tra gli altri a Il tempo dell’amore (1997) di Campiotti, Così ridevano (1998) di Amelio, Nemmeno il destino (2004) di Gaglianone. Inizia a lavorare nell’ambito del film documentario con Il Reduce (Torino Film Festival 1999) e Tutti mi chiedono da dove vengo nessuno vuol sapere chi sono (Arcipelago Festival 2000). Realizza nel 2009 La Voce Stratos con Luciano d’Onofrio, distribuito nelle sale cinematografiche, nella collana Real Cinema di Feltrinelli e trasmesso da Rai Storia ed RTSI. Il suo ultimo lavoro è “Enrico Rava. Note necessarie”, presentato al Biografilm Festival 2016.
Luciano D’Onofrio inizia a quindici anni a suonare la chitarra elettrica in gruppi post-punk. Nel periodo universitario realizza i primi cortometraggi in Super8. Nei primi anni Novanta tramite la cooperativa Index di Pier Milanese collabora con registi e documentaristi torinesi come Alberto Signetto, Armando Ceste, Claudio Paletto e Daniele Pianciola. Contemporaneamente si dedica a video-documentazioni, installazioni e performance nei luoghi dell’underground non solo torinese. Nel 1998, durante la partecipazione al documentario di Alberto Signetto Conversazioni con Robert Kramer, inizia la collaborazione con Monica Affatato. Per Armando Ceste è operatore nei film Abdellah e i suoi fratelli (2000), Rosso/Askatasuna (1999) e Amoremorte (2007). Negli stessi anni realizza come autore: I tempi stanno cambiando (2001), L’alluvione in Val Vigezzo (2003), Sparate sempre prima di strisciare (2002). Con Monica Affatato, tra 2004 e 2005, realizza il documentario auto-prodotto Metamorfosi, su e con l’artista post-transgender Veet Sandeh, e nel 2009 nel 2009 La Voce Stratos.
Oderso Rubini è un produttore discografico, musicista e scrittore italiano. Nel 77 fonda la Harpo’s Bazar e nell’80 l’Italian Records, per le quali produce gli esordi di Skiantos, Gaznevada, Stupid Set, Hi-Fi Bros., Johnson Righeira, Confusional Quartet, Art Fleury, Magazzini Criminali, Monofonic Orchestra, Pale TV e moltissimi altri.
Nel 1978 prende parte al “Treno di John Cage” come assistente di Juan Hidalgo e Walter Marchetti per l’elaborazione delle 210 musicassette messe a disposizione per venir suonate nelle varie carrozze. Nell’88 fonda la Stile Libero, con la quale produce Popoli-Dalpane Ensemble, Igort, Cambuzat, Zitello, Grazia Verasani. Gestisce attualmente l’etichetta Astroman. Ha curato tra gli altri i libri Non disperdetevi. 1977-1982 San Francisco, New York, Bologna. Le città libere del mondo (Shake) e Largo all’avanguardia, (Sonic Press).
VOCI DALL’ALDILÀ X
Un sorprendente passaggio della serie documentaria televisiva On the Edge: Improvisation Around the World di Derek Bailey e Jeremy Marre (proiettata a Voci dall’Aldilà nel 2007) si incontra nell’episodio Movements in Time, nel quale il danzatore Mario Maya spiega come il flamenco sia nato nel 15° secolo dalla diaspora gitana giunta in Andalusia attraverso le rotte migratorie che dall’India settentrionale attraversarono Iran e Nordafrica, e come sia possibile ancora oggi notare punti di contatto tra questa danza e la Kathak del Nord dell’India.
In realtà, di questi “cortocircuiti” e legami tra mondi apparentemente lontanissimi è piena la storia della musica, e ne costituiscono spesso la linfa evolutiva (non a caso, l’immagine-simbolo scelta fin dall’inizio per Voci dall’Aldilà è lo scatto che celebra lo storico incontro tra Sun Ra e John Cage!). Nel 1977, Steve Lacy registrò per la Horo l’album Threads, assieme ad Alvin Curran e a Frederic Rzewski. Qualche anno dopo, parlando delle molteplici esperienze fatte al di fuori dall’ambito strettamente jazzistico, Lacy citò quel titolo, spiegando che con esso voleva riferirsi “ai fili della mia musica, ai fili che uniscono, che collegano tutte le esperienze della mia vita. Sia quelle presenti, sia quelle passate o future”.
Un “filo rosso” è rintracciabile volendo anche nella programmazione di Voci di quest’anno, nonostante l’accostamento di nomi provenienti da pratiche e generi musicali diversissimi:
E’ noto ad esempio che alla fine degli anni 50 John Coltrane scoprì la musica di Ravi Shankar e che volle incontrarlo più volte, per approfondire gli aspetti dell’improvvisazione nei raga e della spiritualità indiana, ricevendone un’impressione tale che nel 1965 diede al suo secondo figlio il nome Ravi. Fin dal 1955 Shankar aveva iniziato a esibirsi in occidente (nel 58 fu anche invitato da Frances Mc Cann e Giacinto Scelsi a tenere un concerto a Roma, e in quell’occasione dedicò tre improvvisazioni al sitar a Scelsi, il quale ebbe l’accortezza di registrarle). La musica di Shankar e la svolta modale di Coltrane furono a loro volta profondamente influenti nella nascita del minimalismo (come evidente nelle registrazioni La Monte Young attorno al 63 in cui suonava il sax sopranino), quanto nella nascita del rock psichedelico: Roger McGuinn ha recentemente raccontato che Eight Miles High dei Byrds fu da loro composta alla fine del 65 durante un mese di tour lungo il quale nel loro furgone continuarono ad ascoltare in continuazione un’unica cassetta su cui avevano registrato pezzi di Shankar su un lato, e di Coltrane sull’altro! E fu per inciso David Crosby, nel corso del tour inglese dei Byrds nell’agosto dello stesso anno, a far scoprire a George Harrison la musica di Shankar, regalandogli un suo disco che si era portato dagli Stati Uniti. Il resto come si dice, è storia: le platee rock di Monterey e Woodstock, il Concert for Bangladesh, ma anche i coevi concerti e dischi con il violinista Yehudi Menuhin che sconvolsero il mondo classico, e imposero definitivamente la carriera del “più grande ambasciatore culturale dell’India”, come lo ha definito Philip Glass.
Da parte sua, John Coltrane ci fornisce un collegamento con Thelonious Monk, avendo com’è noto fatto parte del quartetto nella seconda metà del 1957.
Autore con Round Midnight di uno dei più noti standard della storia del Jazz (incisa in centinaia di versioni, da Miles Davis ad Amy Winehouse), tra i riconosciuti padri fondatori del Be Bop negli anni Quaranta accanto a nomi come Bud Powell, Dizzy Gillespie, Charlie Parker, la figura di Monk è tuttavia, come scrive Giampiero Cane in MonkCage, quella di un “compositore affatto singolare, per certi aspetti prossimo a Nancarrow, per altri anticipatore delle esperienze minimaliste: un’individualità di grandissimo spicco, comunque”, un “pianista dissonante, concettuale e astratto” che “suona il silenzio analogamente all’Henry Moore che scolpisce il vuoto” (ed è toccante che gli ultimi dieci anni della sua vita Monk li passi virtualmente in silenzio, per il peggioramento di un disturbo mentale mai chiarito). Il suo destino fu piuttosto quello di essere un “musicista per musicisti” dunque, adottato in primis da Steve Lacy, che nel 1958 fu il primo a pubblicare un album dedicato interamente a composizioni di Monk da parte un altro artista, e che, oltre a suonare anche brevemente con lui nel 60 e 63, fece dei suoi brani un elemento permanente di analisi e rielaborazione nel proprio repertorio. Ma l’impronta di Monk si ritrova fortissima anche in Misha Mengelberg (particolarmente memorabili i concerti della ICP Orchestra dell’86 dedicati al suo repertorio), in Carla Bley, e conta – oltre ai tanti di Lacy – numerosissimi altri omaggi di valore: dalle psicotiche versioni no wave dei Lounge Lizards con Arto Lindsay (1980) alla compilation prodotta da Hal Willner That’s The Way I Feel Now: A Tribute To Thelonious Monk (1984, con Dr. John, Gil Evans, John Zorn, Joe Jackson, Was Not Was tra gli altri), da Six Monk’s Compositions di Anthony Braxton (1987, in quartetto con il pianista fedelissimo di Lacy, Mal Waldron), al triplo cd di Alexander von Schlippenbach Monk’s Casino (2005, in quartetto con Axel Dörner).
“C’è un certo libertinaggio nell’arte di Steve Lacy” – è sempre Cane a scrivere –, “il gioco delle collaborazioni e quello con i suoni. Quello lo incuriosisce, ma questo lo coinvolge e in maniera tale che egli non sa sempre porvisene al centro, o almeno in un punto focale. A volte i suoni, nel loro connettersi, nel loro volare si allontanano in modo che egli non sa più riafferrarli, riportarli a sé; volano via nella dispersione. Gli oggetti monkiani, plastici, che sono al fondamento della musica di Lacy, si trasformano, allora, in forme volatili che il musicista insegue, portate da un tappeto magico che fluttua in un aere incerto, instabile.” Nato nel 1934 a New York da famiglia di ebrei emigrati dalla Russia, Lacy esordisce diciottenne accompagnando famosi musicisti dixieland (Jimmy MacPartland, “Zutty” Singleton Max Kaminsky), e si distingue anche per la scelta di uno strumento all’epoca desueto nel jazz moderno come il sax soprano (fu per inciso ascoltando Lacy suonarlo, con Jimmy Giuffre, in un club, che Coltrane “scoprì” e si convertì allo strumento…). Ma nel 1956 passa decisamente all’avanguardia partecipando al disco d’esordio di Cecil Taylor, Jazz Advance (per la Transition, l’etichetta di Tom Wilson – futuro produttore di Zappa e dei Velvet Underground – per la quale nello stesso anno esordisce anche Sun Ra), e nel 57, con la base ritmica di Taylor (Neidlinger e Charles), registra Soprano Sax. L’anno successivo, Reflections è solo il primo dei suoi omaggi alla musica di Monk, alla quale dedica altri interi album (tra cui i soli Only Monk, 87, More Monk, 91, il sestetto We See nel 93), ma che riappare virtualmente in ogni disco e concerto dal vivo. Ma suona anche con Don Cherry, Carla Bley, Enrico Rava, Giorgio Gaslini, la Company di Derek Bailey, Misha Mengelber e la ICP Orchestra, Musica Elettronica Viva (nel 77, si rivedranno assieme a Ferrara nel 2002), nella dimensione del solo e in quella dei gruppi (con la moglie Irene Aebi) con i quali mette spesso in musica poeti beat e altri scrittori (Brion Gysin, Robert Creeley, ecc.).
Nel 1976, venne anche invitato a contribuire a due brani degli Area dell’Lp Maledetti, e all’esperimento free-form di Event ’76, concerto alla Statale di Milano cui partecipò anche Paul Lytton.
Icona di un’epoca in cui musica, cultura, e militanza politica scorrevano parallele, Demetrio Stratos rappresenta un personaggio trasversale unico a cui va il merito di aver saputo concertare stimoli differenti sperimentandone la contaminazione reciproca. Nato ad Alessandria D’Egitto da genitori di origine greca, approda a Milano nel 62 per iscriversi all’Università, e diventa nel 66 la voce dei Ribelli (già gruppo del Clan di Celentano), incidendo con loro tra l’altro la straordinaria soul ballad Pugni Chiusi, e cover di pezzi Motown come Get Ready e You Keep Me Hanging On.
Contemporaneamente all’uscita del singolo solista di Stratos Daddy’s Dream, il primo nucleo degli Area (Capiozzo, Stratos, Gaetano Leandro, Patrick Djivas e Johnny Lambizzi) si trovano assieme a incidere l’omonimo brano “Area” nel primo Lp di Alberto Radius, del 72; ma è con l’ingresso di Tofani e Fariselli al posto di Lambizzi e Leandro, e l’arrivo del manager situazionista Gianni Sassi (che spinge il gruppo a cantare in italiano firmandone i testi oltre che l’immagine grafica), che nasce nel 73 lo straordinario esordio di Arbeit macht frei, che si distacca dal prevalente clima progressive italiano per una spericolata fusone di jazz rock, ritmi dispari presi dalla musica etnica, e sperimentazione vocale e elettronica. Grazie ai legami Fluxus di Sassi con Gianni Emilio-Simonetti, collaborano anche con Hidalgo e Marchetti del gruppo Zaj, e nel 1974 Stratos prende parte con loro alla registrazione del primo volume della collana Nova Musicha dedicato a John Cage, del quale canta alcuni dei Mesostics Re Merce Cunningham. Al “pop” di Crac! (75) fa da contraltare l’Event ’76 con Lacy e Lytton, nel quale ogni performer deve semplicemente interpretare cinque suggestioni (“silenzio” “musica” “violenza” “ipnosi” “sesso”), indipendentemente dalle azioni altrui. Stratos fa ricerche e misurazioni sulla propria voce al CNR di Padova, studia il canto armonico di Tuva a Parigi con un polistrumentista vietnamita Tran Quang Hai, sempre a Parigi partecipa a un Event di Merce Cunningham con Cage, e nel giugno 78 prende parte al celebre “Treno di John Cage”. Decide quindi di lasciare gli Area, ma nel 79 riesce a portare a compimento solo alcuni altri progetti, tra cui Le Milleuna per Nanni Balestrini, e il divertissement Rock and Roll Exhibition con Pagani e Tofani; ad aprile però gli viene diagnosticata un’aplasia midollare, e si spegne a New York il 13 giugno 1979, proprio alla vigilia di un concerto organizzato per raccogliere fondi per le cure. Il concerto all’Arena civica si tramutò in un colossale tributo alla sua figura di uomo e artista (perfino Adriano Celentano si offrì di partecipare, ma venne sconsigliato dai membri del gruppo), unendo un centinaio tra i più famosi musicisti italiani di fronte ad un pubblico di oltre 60.000 spettatori.
(Walter Rovere)
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