Presentiamo con questo catalogo la prima edizione di Angelica – Festival Internazionale di Musica. La nostra intenzione è di farne un appuntamento annuale. Il termine musica ha bisogno di chiarimenti perchè è privo delle consuete specificazioni. Le finalità di Angelica sono programmaticamente volte a ignorare gli steccati che dividono la musica in tante famiglie; vogliamo considerare i fatti musicali come unici, propri, al di là della loro appartenenza a generi o stili.
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Angelica si propone di rappresentare ogni forma di ricerca musicale che si muova in ambiti non convenzionali e non accademici, e che usi con libertà i molteplici materiali offerti dalle diverse tradizioni musicali.
La convenzione e l’accademismo si nascondono nel genere e soprattutto nel suo pubblico, che nel genere si autoriconosce in maniera consolatoria. D’altro canto le cose interessanti che succedono in musica sono fruite da piccoli gruppi di specialisti e appassionati, egualmente autoconsolatori nella loro posizione di diversità. Cercheremo di agitare le acque.
AngelicA 2 (1992)
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Pensiamo con Angelica di agitare una situazione stagnante: molto difficile per i musicisti e molto cristallizzata nelle diverse tipologie di pubblico.
La musica di Angelica non si basa sull’evento, sempre legato al divismo, presente in ogni genere di musica; ma sulla possibilità di rompere il meccanismo dell’ascolto legato all’autoidentificazione nel genere e nel luogo. Il modo di concepire la musica, come molteplicità di soluzioni ed esistenze, costituisce il cuore del nostro lavoro.
Un festival è sempre qualcosa di provvisorio: Angelica non definisce la situazione musicale attuale, individua alcuni percorsi di ricerca o propone cose molto più “semplici” che ci sono da sempre e di cui non ci accorgiamo.
AngelicA 3 (1993)
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Improvvisazione è un concetto molto ambiguo e ricco ormai di molte stratificazioni di significato in relazione alle diverse pratiche che si sono succedute nel tempo…
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Apriamo così un lavoro sulle forme dell’espressione musicale che avrà un seguito…
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AngelicA 4 (1994)
La scelta delle situazioni musicali di Angelica 94 ha più che in passato un significato di sfondamento dei generi: abbiamo sempre sostenuto che la musica di ricerca non può essere fatta a pezzi, né segmentata; da qualsiasi parte essa provenga, qualsiasi matrice (colta, popolare, etnica, rock, jazz) l’abbia generata, essa felicemente occupa la scena di Angelica. Questa è la nostra posizione.
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La complessità è un valore ambiguo; nonostante la musica contemporanea ne abbia fatto spesso un obiettivo fine a sé stesso, bisogna riconoscere che la “complicazione” è un elemento che rende più interessante la composizione. “L’apprendimento delle regole modifica in realtà il nostro giudizio” diceva Wittgenstein.
La nostra intenzione però rimane quella di cercare di porre al centro dell’attenzione il risultato sonoro, che assumiamo come valore di orientamento, esprimibile con la metafora dell’orecchio.
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AngelicA 5 (1995)
A uno sguardo che colga ciò che sta accadendo in Europa, la situazione della musica di ricerca appare molto dinamica. Osservando la scena italiana il mutamento non è altrettanto visibile, ma anche qui qualcosa si muove, qualcosa che riguarda sia la musica “alta” che la musica “bassa”.
I nuovi compositori di formazione “colta” non subiscono più il richiamo forte della tradizionale e elitaria “musica contemporanea”, e stanno imboccando strade diverse.
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Questi compositori, in alcuni casi molto giovani, sembrano ricercare un rapporto con il pubblico, cercano di dimostrare che la musica d’oggi non è solo per un’élite, ristretta e impermeabile.
Essi non vanno “incontro ai gusti del pubblico” ma si misurano con i valori e l’esperienza musicale del nostro tempo (comunicati soprattutto dalla musica popolare), valori nei quali loro stessi e noi tutti siamo immersi; per poi rielaborarli in nuove esperienze sonore.
La questione è quella legata all’affermazione di un’estetica “moderna”, che rimuova e superi le differenze di status delle diverse forme musicali, ampliando il campo della ricerca musicale.
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Con lo stesso fine, i più attenti organizzatori di festival e stagioni cercano di uscire dal loro ambiente stagnante, dal cimitero dei “classici” vecchi e nuovi. E coniugano come possono, una musica all’altra, una forma all’altra
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Con tutto ciò che l’ambiente “basso” della ricerca musicale, di cui Angelica abitualmente si occupa, ha i suoi problemi di crescita e mutamento. (“Basso” perché è l’ambiente formatosi progressivamente dallo sviluppo, trasformazione e mescolamento dei generi popolari).
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Si cerca anche di reagire a una certa stanchezza nella pratica dell’improvvisazione radicale che può risolversi anch’essa in abitudine e ripetizione di suoni e formule; pratica che ha bisogno di pause e riflessioni come qualsiasi altra. Ciò può accadere fra musicisti che si conoscono troppo e che inconsapevolmente tendono a minimizzare i rischi che l’improvvisazione comporta.
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AngelicA 6 (1996)
Angelica cambia formato. Nell’edizione di quest’anno viene posto al centro dell’attenzione un ambiente, quello olandese. Nel momento in cui si accostano due città, le civili Amsterdam e Bologna, viene da fare dei confronti. Nel campo strettamente musicale la diversità nei risultati è molto grande; ed è troppo comodo attribuirla alla disparità anch’essa grande delle risorse messe in gioco.
Accostiamole sul piano delle idee e pratiche di cultura che guidano le istituzioni. La questione è delicata perché non si sa cosa cultura sia molto spesso; è comunque qualcosa che si pone nel legame e nella differenza fra conservare e fare mondi; fra l’avere cura (anche nel senso buone delle continue riletture e interpretazioni) del patrimonio storico e l’offrire nuove chance.
Mentre l’intervento delle nostre istituzioni è tutto schiacciato sul primo aspetto, quello delle istituzioni olandesi sembra più sensibile e aperto verso il secondo con risultati rilevanti su tutto il campo della produzione musicale.
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L’espressione ‘fare mondi’ riferita ai fatti della cultura, è molto interessante (anche se un po’ pomposa) e duplice, in quanto suppone un rapporto ‘generativo’ delle pratiche artistiche, come manifestazione del possibile, nei confronti delle forme di vita. E insieme tiene conto di aspetti estranei (in genere considerati negativi perché connessi al ‘fare immagine’ e tipici dell’operare dei mass media), sinestetici e rituali, a cui spesso gli individui (che compongono il pubblico) si affidano per trovare un proprio posto, reale o fantastico, nel mondo (dei fatti quotidiani).
Si intuisce lo sforzo che si dovrà compiere nel tenere uniti questi due aspetti e nell’accettarne l’ambiguità. Molta strada c’è da fare verso una consapevole abitudine per la ‘musica d’arte’ e anche la stessa musica dovrà mutare per conquistare maggiore spazio e considerazione.
Il caso olandese può servire da lezione e da riferimento. Come qualsiasi altro posto, del resto, dove si può trovare – insieme a una vivace scena musicale – un’apprezzabile attenzione delle istituzioni ai fatti della cultura come legami di convivenza, di quotidianità e di trasmissione del sapere.
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Ad Autunno, una ‘delegazione’ di musicisti della nostra città si trasferirà ad Amsterdam, al Bimhuis. Sarà dedicata una giornata a nuovi ‘embrionali’ percorsi della musica italiana che coinvolgerà anche musicisti olandesi.
La comunità bolognese dei musicisti è molto numerosa, creativa e agguerrita, ma sempre in bilico fra dilettantismo canzonatorio e irriverente e una progettualità mediata e professionale. Sono state troppo scarse le occasioni a loro concesse per svolgere una quotidiana attività musicale a contatto con una committenza non occasionale.
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AngelicA 7 (1997)
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Anche il pubblico più attento non può sopravvivere se non viene portato a trasformare l’esperienza dell’ascolto in una diversa aspettativa dell’evento, da scoprire e non solo da riconoscere.
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AngelicA 8 (1998)
“Edilizia e cultura”
La via edilizia (o italiana) alla cultura si imbocca quando non si vuole cambiare gli equilibri della politica culturale e si ristrutturano edifici, i cosiddetti ‘contenitori’. I rigori di bilancio richiederebbero tagli in ogni settore ma d’improvviso vengon fuori le risorse per un glorioso investimento che diventa presto il segno di una decisa volontà di dare forza alla cultura. Il recupero di edifici storici, e ce ne sono tanti in pessimo stato, per metterci dentro un museo, una sala di quartiere, un corso di danza o musica, un centro polivalente, insomma qualcosa che giustifichi i denari spesi nella nobile operazione di conservazione. Alla fine l’edificio è risanato. Non ha grande funzionalità, non è stato pensato per ciò che ci andrà dentro, pesa sul bilancio pubblico per molti miliardi di investimento diretto e per i costi di gestione (personale, materiali, consumi vari, ecc.). Ma i soldi paiono ben spesi, in contenitori scambiati per ‘strutture’ per la cultura. Che richiedono poi un piccolo apparato, un direttore, uno staff, ecc. Così cresce la spesa per la cultura. Pensare un altro modo non vale la pena, lo hanno detto anche i migliori cervelli del paese; i veri talenti artistici vengon fuori comunque.
Un buon equilibrio fra investimento nei cervelli e investimento edilizio pare impossibile in questo paese e in questa città. Non è più chiaro quale sia la funzione pubblica della cultura se tramandare un sapere o costruire mondi per le generazioni future. Per la prima ci sono i ‘contenitori’, per la seconda il mercato che farà la selezione. Ma accettando anche questo punto di vista, il mercato è solo parzialmente il momento della verifica, il mercato è solo l’opinione comune (la materia dei gusti e preferenze ha la stessa realtà economica di un mercato finanziario o dei prodotti da forno) cioè quel che si dice o che i media dicono. A seconda dei punti di vista, attivo o passivo, bisogna decidere ciò che può stare sul mercato e ciò che non può stare, o i tempi di questo confronto; oppure cercare di creare un nuovo mercato e attirare un nuovo pubblico. E in questo l’operazione di una istituzione può essere molto più incisivo e duraturo di un centro sociale (dove oggi circola peraltro più avanguardia che in tutte le istituzioni culturali).
Periodicamente riviste specializzate di musica dedicano servizi giornalistici accurati alla scena musicale bolognese; i commentatori si sorprendono della capacità creativa dei musicisti, dell’estrema variabilità dei gruppi, della vastità e versatilità dell’ambiente musicale. Non si chiedono però come mai questi musicisti e questi gruppi così interessanti e bravi siano di fatto invisibili, tanto da richiedere periodiche indagini speciali.
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AngelicA 9
Angelica è nata, ormai sono diversi anni, sul presupposto che fosse possibile parlare di musica senza per forza parlare di generi musicali (classica-contemporanea, jazz, rock, improvvisazione). Si pensava che la situazione fosse matura, che il pubblico ormai fosse insofferente verso l’organizzazione della musica in scatole separate. Che ci fosse bisogno di rimescolamenti e non solo di ‘contaminazioni’. Anche per questo un contesto itinerante sembrava adatto; il cambiamento dei luoghi e dei teatri a seconda delle necessità.
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Purtroppo, L’evoluzione della situazione musicale avviene per scatole, separate e più o meno comunicanti. Il contenuto della nostra scatola è una musica in certo modo meno comunicativa di altre, che ha bisogno di promozione e di ‘autorevolezza’ per muovere curiosità e interessi sul mondo dei suoni possibili.
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Anche sul versante della musica colta la situazione si è fatta più difficile in Italia e all’estero. Di fronte al dilagare della musica commerciale, del divismo e dell’evento, le istituzioni musicali sembrano paralizzate e incapaci di compiere scelte verso nuovi territori musicali: da un lato rimangono immobili nella tradizione, in un rapporto simbiotico con un pubblico “borghese” (minoritario e in progressiva diminuzione se non c’è il divo di turno) che è lo specchio esatto dei programmi artistici e della gestione elitaria dei teatri. D’altro canto innovare significa qui perdere pubblico, senza alcuna garanzia di essere in grado di crearne uno nuovo.
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In questo panorama desolante per la musica di ricerca un ruolo particolare coprono i luoghi del consumo ‘diverso’, i centri sociali, gli spazi autogestiti (a Bologna: Link, Tpo, Livello 57); che si dimostrano in grado di coinvolgere nuovo pubblico, di essere attori nelle trasformazioni continue della musica, e di porsi talvolta in bilico fra mercato e avanguardia, fra svago e ricerca.
Il loro successo indiscutibile è legato però in gran parte al contesto, al luogo e ai simboli che vi circolano. I valori musicali sono strettamente legati al contesto ‘radicale’ e ‘alternativo’, o semplicemente ‘informale’ e ‘popolare’ e non sono spesso valutati per quello che sono. Sono annegati nella mutevolezza e flessibilità di questi centri, prima di tutto luoghi di ritrovo sociale.
E’ forse una legge generale: il valore identificativo dei contesti e dei luoghi è anche più forte del valore rassicurante dei generi. Un valore estetico forse non esiste al di fuori del suo contesto e questo crea un certo imbarazzo, quello di definire non solo una proposta musicale, quanto una nostra proposta di ‘contesto’, che per la verità è stata volutamente messa in ombra.
Nel momento in cui più si sente il bisogno di iniziative e istituzioni capaci di sostenere senza troppe preoccupazioni di mercato la ricerca musicale (ad inseguire il mercato vincono altri soggetti più preparati) noi ricominciamo dal basso, risalendo fino all’alto del Teatro Comunale e cercheremo di imparare qualche cosa sul nostro contesto di azione.
AngelicA 10 (2000)
10 anni di lavoro sono tanti. In questo momento li sento particolarmente pesanti. Sento la fatica di tanti piccoli passi per arrivare alla situazione d’oggi. Una situazione consolidata ma ancora fragile.
Angelica è nata, come si dice in questi casi, dal “basso”.
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E’ inutile e fastidioso insistere sui problemi della situazione musicale italiana, se ne parla ovunque e anche in queste pagine del catalogo vi sono molti accenni. E’ tuttavia imbarazzante sentirsi diversi semplicemente perché ad Angelica sono presenti musicisti e compositori che sono di casa nei programmi delle istituzioni musicali di tutto il mondo occidentale e che in Italia non trovano posto nei repertori delle stagioni di musica e nei programmi artistici. Sentirsi diversi mentre si sta coprendo uno spazio che è in parte istituzionale, o per meglio dire ufficiale, in quanto coinvolge le figure principali della musica del dopoguerra.
A un piccolo festival sarebbe più consono il dinamismo della caccia nei territori vergini, le forme di nuova sperimentazione, piuttosto che la proposizione delle figure storiche dei ‘maestri’ e dei migliori ensemble del mondo.
Ne deriva che Angelica ha un’anima istituzionale che la mette in una tremenda contraddizione, quella di non poter essere mai all’altezza del proprio ruolo.
L’edizione di quest’anno mostra particolarmente questo tipo di contrasto: fra musica da konzerthaus e ambienti della sperimentazione.
E la natura di passaggio e di trasformazione è ciò che caratterizza il momento attuale di Angelica, festival felice che non può essere ciò che vuole e non sa ciò che vuole, in quanto vuole essere molte cose.
AngelicA 11 (2001)
“Il ritorno di Ringo”
Cosa fa Ringo,
appena arriva? Sbaraglia il campo, i cattivi treman tutti. Soprattutto gli umani non udenti.
Felice ritorno al volto umano di Angelica, alla sua dimensione intima e familiare, ai suoni aspri e inaspettati, alle figure ricorrenti dell’incerto panorama della ricerca musicale, dopo i fasti celebrativi, le altisonanze.
Dentro le mura sporche del Link riprendiamo la strada.
Dopo ingenuità e diverse cantonate. Più realismo e più efficacia. Almeno capire qual è la nostra posizione e dove far breccia per nuove avventure.
AngelicA 12 (2002)
“Semplice e nobile”
Fanno 12! 12 edizioni di un festival che con gli anni diventa familiare, che rimane però un’anomalia, che non è attuale.
Da una evidente semplicità riparte il percorso di Angelica. Semplice e disadorno è il contesto, dei concerti e dell’opera mobile.
Centrali e periferici sono gli spazi, comunque impropri. E funzionali al clima espressivo.
Per ora è così che stiamo pensando il nostro viaggio, un po’ sotterraneo, e anche sornione, per poterlo rendere in futuro più visibile e indiscreto, di scatto.
AngelicA 13 (2003)
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Il Teatro san Leonardo, dove si svolgerà la parte bolognese dell’edizione di quest’anno, è un luogo storico per Angelica: qui vi si sono svolte bellissime edizioni nel periodo ’93-’97
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Siamo sempre convinti che con un buon partner istituzionale il nostro lavoro sarebbe divenuto più incisivo, efficace, autorevole.
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In Italia, la distanza tra pubblico e musica contemporanea è oggi enorme, i teatri hanno paura della musica contemporanea. La collaborazione con la Fondazione del Teatro Comunale di Modena è quindi un paradosso. Ma da qui occorre ripartire per preparare il pubblico del futuro.
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AngelicA 14 (2004)
“Angelica a pezzi”
Succede quando ti rendi conto che stai seguendo più direzioni, sia artistiche che culturali e sociali, anche nell’utilizzo dei luoghi di spettacolo: con accordi, coproduzioni, partnership, convenzioni e così via. Un campo di azione molto aperto che tradisce l’ambizione di fare molto di più, di trovare più spazio, di invadere nuovi settori, di frequentare nuovi ambienti e nuove prospettive.
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E ciascun pezzo è nuovo lievito.
E’ il risultato ovvio, naturale, di una mancanza ormai sempre più avvertita nel panorama dell’offerta musicale: la mancanza di contemporaneità. Siamo, come si dice, al progressivo svuotamento dello spazio un tempo riservato alla creazione contemporanea. Alla fine di un percorso, in cui il mercato e l’abitudine al sempre uguale hanno consumato l’audience, l’hanno sfinita. Da qui si ripartirà e qualcuno si sta già avviando.
Per intanto e tuttavia, questo spazio è talmente vasto da stordire; ci coglie l’ansia della navigazione; tante rotte possibili. Poche preoccupazioni sul rigore, di questi tempi conta lo stile.
AngelicA 15 (2005)
“Istruzioni per un Festival”
Per fare le cose bene un festival musicale deve muoversi su diversi piani.
Un livello di “movimento” che segue la continuità nel suo farsi, le linee di ricerca, i tentativi e gli abbozzi, con un occhio particolare ai talenti locali. Per appassionati settori di pubblico.
Un livello di selezione, di evidenza, di visibilità, di polarizzazione sui capisaldi: quello che si è sedimentato nel tempo. Per ampliare l’area dell’ascolto e la familiarità con i suoni di oggi.
E’ molto utile una buona capacità produttiva e uno staff all’altezza della situazione: semplice efficiente appassionato.
Ora non siamo in grado di fare bene tutte queste cose insieme.
Cercheremo di farle separatamente, a segmenti, in diversi periodi dell’anno.
Con tutte le relazioni e alleanze necessarie e possibili.
Con incisività, forza della proposta.
Angelica quindici sarà quindi un importante momento di passaggio nella storia del Festival.
AngelicA 16 (2006)
“Arrivano i tagli”
E’ arrivata la stagione dei tagli; regolare, con una certa periodicità. Fondi scarsi, massima attenzione alle spese. In queste situazioni, diciamo di crisi, si dovrebbe far quadrato intorno al sistema della cultura e dello spettacolo, tagliando il superfluo per rafforzare l’essenziale.
Succede invece il contrario, quella dei tagli è anche una strategia comunicativa, mentre riduce le risorse per il sistema scopre fondi da usare discrezionalmente. Sembra una legge: è invece una pessima abitudine della politica.
In generale, tutti apprezzano la cultura e ne riconoscono il valore.
Tuttavia, di fronte a difficoltà di bilancio la cultura è la prima a rimetterci e viene messa in secondo piano: l’economia è da rilanciare, il settore sociale da difendere, la cultura è da tagliare. Questo è lo schema, lo schema italiano almeno.
Per lo spettacolo (le arti performative: danza, musica, prosa, arti visive) è ancora peggio in quanto se la cultura viene ritenuta di utilità indiretta, serve sempre per qualcos’altro, lo spettacolo è manifestamente inutile, una sovrastruttura piacevole ma improduttiva.
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Gran parte delle istituzioni culturali pubbliche per esempio portano all’eccesso queste tendenze e si occupano quasi esclusivamente di beni culturali, cioè di lavoro artistico svolto in altre epoche e non di produzione artistica corrente.
Non sono che poche considerazioni, ma efficaci, sul fatto che non è per niente facile fare qualcosa di grande rilievo dalle nostre parti, e che non è per niente facile portare un festival fuori della sua nicchia naturale quando tutto congiura perché vi rimanga.
AngelicA 17 (2007)
“Discopatie”
Sindrome del Dj, costruttore di programmazione musicale, questo diciassettesimo anno è diventato discopatico.
Ogni teatro è una stazione vertebrale che rappresenta la vocazione territoriale di Angelica.
Tutto ciò ha bisogno di cure, anche di farmaci….
… Oxycontin….Neurontin….Ascriptim….
AngelicA 18 (2008 – messaggio canalizzato da Giovanna Giovannini)
L’artista è un essere verticale che cammina nel carnale viaggio del mondo ma che steso orizzontalmente sogna cose altrimenti impossibili.
Mario Zanzani, director of AngelicA, He died on May 13, 2007.
A n g e l i c A
Quanto sono importanti quelle parole per qualcuno che si avvicina al mondo, che cerca la sua strada: sono nutrimento. E quella speranza è oro, è spinta.
Molte porte erano chiuse e tu ci hai aiutato ad aprirle. Abbiamo trovato la forza di fare anche quando sembrava che non ci fosse spazio per un’idea che tu invece sentivi genuina, forse anche ingenua, ma giovane e necessaria. Non importava nemmeno che tu quell’idea la capissi fino in fondo, tu capivi il bisogno, il sentimento.
A parole siamo stati d’accordo forse poche volte, ma nei fatti eravamo intimamente coinvolti e convinti.
Nella diversità si trova il cambiamento.
Intorno a noi continuano i problemi, si ripetono le cose che ci facevano sorridere o arrabbiare, ma mai rinunciare.
Sembra quasi che siano gli eventi, le combinazioni, a decidere per noi: ti tolgono qualcosa, ti danno qualcosa.
Quasi non mi arrabbio più, non pretendo più di essere capito, anche se ieri…
Cerco dentro quello che non trovo fuori e vedo che quello che si deve compiere si compie.
Ogni momento, al di là del nostro modo di relazionarci, scorre qualcosa tra le persone, nel silenzio tra le parole, dentro gli sguardi, che ci cambia, ci plasma, e spesso non ne siamo consapevoli, e quegli attriti che sembrano scogli sono in realtà una possibilità che abbiamo per crescere. Arriva un tempo nel quale tutto si scioglie, anche quello scoglio, e diventa più facile vedere e prendersi per mano.
Ogni tanto qualcosa suona e ti dice quanto ancora stai dormendo riguardo aspetti della tua vita che non hai ancora elaborato, affrontato pienamente.
Tutto si riflette su quelli che hai intorno e che ti sono vicini.
Musica nostra Medicina.
massimosimonini
Those words are so important for someone who is about to face the world, who is trying to find their way: they are a nourishment. And that hope is gold, it is motivation.
Many doors were closed and you helped us to open them. We found the strength to act even when we thought there was no room for an idea that you, instead, believed authentic, perhaps naïve, but young and necessary. It didn’t even matter if you could not fully understand that idea: you understood the need, the feeling behind it.
In words, we agreed very rarely perhaps, but in deeds we were profoundly connected and resolute.
It is in diversity that one finds change.
Around us we can still see problems, and the same things that used to make us smile or be upset, but never give up.
It seems that the events and the coincidences decide for us: they take something away, they give you something else.
I almost don’t get angry anymore, I do not expect to be understood, even though yesterday…
I search inside what I cannot find outside and I realize that what has to happen, happens.
At every moment, underneath the way we relate to each other, something flows between individuals, through the silence between the words, in their eyes. This something changes us, shapes us, and often we are unaware of it. Those disagreements that appear as stumbling blocks are indeed an opportunity of growth that we are given. It comes a time when everything dissolves, even those blocks, and it is easier to see and to take each other’s hands.
Sometimes, something resounds in you, that makes you realize how blind you have been to aspects of your life that you have not yet fully elaborated and faced.
Everything reflects upon those that surround you and are close to you.
Music our Medicine.
massimosimonini
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