martedì 5 maggio 2015 – ore 21.30 – Centro di Ricerca Musicale / Teatro San Leonardo – BOLOGNA
> Jean-Claude Eloy LE MINUIT DE LA FOI (Francia) prima assoluta
Jean-Claude Eloy (Francia, 1938)
LE MINUIT DE LA FOI [LA MEZZANOTTE DELLA FEDE] (2014);
per suoni elettronici e concreti; attorno ad alcune frasi di Edith Stein,
recitate dallʼattrice tedesca Gisela Claudius;
(parte ottava del ciclo CANTI PER L’ALTRA METÀ DEL CIELO) prima assoluta
prima parte: Morgendämmerung [Alba] 70′
(proposizione – agitazione – contemplazione –
illuminazione/giubilo/sublimazione)
seconda parte: Dämmerlicht [Crepuscolo] 50′
(interrogazione – tensione – confrontazione)
Jean-Claude Eloy regia del suono
musiche di Jean-Claude Eloy
a cura di Leopoldo Siano
Biglietti 8 €
La Biglietteria del Centro di Ricerca Musicale /Teatro San Leonardo apre 30 minuti prima dell’orario del concerto
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CHANTS POUR L’AUTRE MOITIÉ DU CIEL (OTTAVA PARTE):
LE MINUIT DE LA FOI DI JEAN-CLAUDE ELOY
Un ciclo musicale sulla Donna
“Das Ewige Weibliche / Zieht uns hinan”
(Johann Wolfgang Goethe, Faust II, Atto quinto, versi 12110-12111)
Dopo le grandi produzioni À l’Approche du Feu Méditant.. (1983) e Anâhata (1986) in collaborazione con musicisti tradizionali gagaku e monaci buddhisti giapponesi, sul finire degli anni ottanta Jean-Claude Eloy comincia Libérations, un ciclo dedicato alla Donna (l’Eterno Feminino) ovvero a diverse figure femminili della mitologia, della letteratura, della storia della cultura. Le singole parti di questo ciclo per voci femminili soliste con strumenti e/o elettroacustica (sorte a stretto contatto con straordinarie vocaliste quali Junko Ueda, Fatima Miranda e Yumi Nara), si basano su un ottagono concettuale, i cui poli principali sono: eros, religione e rivolta (i fondamentali mezzi di ‘liberazione’ a disposizione dell’essere umano). A questi tre poli principali sono legate quattro ulteriori tematiche, ossia due antagonismi complementari: oppressione/liberazione e vastità/solitudine. Al centro di questo ‘mandala’ v’è il tema del cammino (cheminement), il fulcro nevralgico dell’operato artistico di Eloy.
Le prime opere del ciclo, Sappho Hikètis (Saffo implorante) e Butsumyôe (Cerimonia del pentimento, ispirata al romanzo di Ihara Saikaku, Vita di una donna licenziosa) furono composte nel 1989. Tra il 1990 e il 1991 seguìErkos (Canto di lode), poi Eileithyia e Two American Women (Gaia-Songs, 1991-92) e Galaxies (versione “Sigma” 1996, con il solo vocale “..kono yo no hoka..”). Nel 2011 Eloy ha deciso di ribattezzare questo ciclo in progress che ora non si chiama più Libérations, ma Chants pour l’autre moitié du ciel (Canti per l’altra metà del cielo), col sottotitolo: canti di solitudine, d’implorazione, di rivolta, di celebrazione o di preghiera. Il titolo si rifà ad un antico detto cinese: la donna è l’altra metà del cielo.
Nel corso degli anni, Eloy si è dedicato con passione allo studio di diverse figure femminili. La sua predilezione và alle ‘donne spirituali’, intendendo il termine ‘spiritualità’ in senso ampio, non strettamente religioso: come ‘forza dello spirito’. Tra le figure che lo hanno più affascinato vi sono personalità destabilizzatrici quali Lou Andreas-Salomé, Rosa Luxemburg, Simone Weil, Santa Teresa d’Avila, Mira Alfassa, Karoline von Günderrode, Alexandra David-Néel. Sarebbe tuttavia errato scorgere intenti ‘femministici’ nel ciclo di Eloy; si tratta piuttosto di una ricerca sul valore simbolico della Donna, di un omaggio artistico alla ‘potenza feminina’ intesa come forza erotica e cosmica (risaputamente il ‘culto della Dea’ gioca un ruolo fondamentale nello shivaismo tantrico, una corrente di pensiero religioso a cui Eloy si sente molto vicino sin dagli anni settanta).*
Dopo una pausa di circa due decenni, nel 2013 Eloy ha ripreso a comporre questo ciclo, realizzandone la settima parte, États-Limites, ou les cris de Petra, opera puramente elettroacustica sviluppata a partire da registrazioni di espressioni vocali ‘estreme’ di Petra Meinel-Winkelbach.
*(Per ulteriori informazioni su questo ciclo si consiglia la lettura del libro di Jean-Claude Eloy, Normalisations collectives et processus dʼindividuation. Autour de quelques œuvres avec voix solistes de femmes. Chants pour l’autre moitié du ciel – chants de solitudes, d’implorations, de révoltes, de célébration ou de prières, hors territoires: Parigi 2012 – Del libro è disponibile anche la traduzione inglese, pubblicata contemporaneamente all’edizione francese).
La fede oscura nel suono
“Fides ex auditu” (San Paolo, Lettera ai Romani, 10, 17)
“E in questo modo, nell’oscurità, l’anima si avvicina grandemente all’unione per mezzo della fede, che è anch’essa oscura; e in questo modo la fede le dà una mirabile luce” (San Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 3, 3)
Le Minuit de la Foi (La Mezzanotte della Fede, 2014), la creazione più recente di Eloy eseguita in prima mondiale nell’ambito del Festival Angelica 2015, è la parte ottava di Chants pour l’autre moitié du ciel. Si tratta di un epico affresco elettroacustico (sulla scia di opere precedenti quali Shânti e Gaku-no-Michi), di una meditazione oscura del suono costruita attorno citazioni tratte dalla Scientia Crucis di Edith Stein, la filosofa ebreo-tedesca santificata da Giovanni Paolo II nel 1998, che dopo una brillante carriera universitaria come assistente di Edmund Husserl si convertì al Cristianesimo e si ritirò in un convento carmelitano di Colonia assumendo il nome di Suor Teresia Benedicta a Cruce. A causa della sua origine semitica, il 2 agosto del 1942 la Stein fu arrestata dai nazisti e condotta nel campo di sterminio Auschwitz-Birkenau dove sette giorni dopo fu uccisa in una camera a gas.
La Scientia Crucis, ultimo libro della Stein scritto tra il 1941 e il 1942, è un commento all’esperienza della ‘noche oscura del alma’, uno studio sulla mistica erotica di San Giovanni della Croce. Nel suo viaggio verso Dio, l’anima – che è sponsa Christi – deve compiere un’ “opera al nero”, affrontare l’aridità e il disgusto per ogni cosa (sinanco delle gioie spirituali), spogliarsi di qualsiasi bramosia, rinunciare a tutto per essere tutto, traversare l’oscurità in tutti i suoi differenti gradi: la notte dei sensi, la notte dello spirito, la notte della fede. Ma è proprio grazie all’esperienza del buio nientificante della notte che l’anima può ricongiungersi a Dio e ritrovare una luce superiore al fondo del suo tragitto. Dio stesso è quell’oscurità: il suo fulgore è accecante, l’anima ne è sopraffatta. Attraverso la noche oscura, Dio conduce l’anima al Sé.
Nell’arco delle due ore di Le Minuit de la Foi, i passaggi dal libro della Stein selezionati da Eloy fanno tuttavia un’apparizione sporadica. Protagonista dell’opera non è la parola, ma il suono. Gli interventi verbali hanno soltanto la funzione di azionare l’energia acustica, il suono che medita su se stesso. Lontano da qualsivoglia intento illustrativo, Eloy compie una sorta di psicoanalisi musicale del testo della Stein, amplificandolo e trasfigurandolo poeticamente attraverso l’astrazione sonora, e comunque superandolo, andando al di là del limite dell’esprimibile, raggiungendo dimensioni ignote al testo stesso. Come altre opere di Eloy, anche Le Minuit de la Foi è imperniata su opposizioni dialettiche: guerra e pace, staticità e dinamismo, luce e oscurità. La musica di Eloy è spesso oscura – ma si tratta di una oscurità luminosa, una ‘nerezza’ (o nigredo, come la chiamavano gli alchimisti) iridescente. Il materiale sonoro dell’opera è per la maggior parte ricavato dalla trasformazione elettroacustica di campanacci di mucche, del dotaku (una campana giapponese), di gong indonesiani, di tamtam sfregati col vetro, ma soprattutto della registrazione del testo della Stein recitato dalla voce dell’attrice tedesca Gisela Claudius.
Le Minuit de la Foi presenta momenti di immane violenza sonica (del resto congenita all’espressività artistica di Eloy e per certi versi affine a quella della noise music di più giovani ‘sculturi del suono’ quali Merzbow, Kasper T. Toeplitz o Zbigniew Karkowski). È un’intensità molteplice, squadernantesi su diversi piani. È l’intensità drammatica dell’esperienza mistica attraverso la notte oscura, ma anche della fine inesorabile della Stein.
Il viaggio sonoro di Eloy è costituito da due capitoli principali, che rappresentano due entità a sé stanti: Alba eTramonto. Eloy ha esitato a lungo prima di stabilire la successione cronologica delle due parti, ma infine si è deciso a terminare l’opera con il calare delle tenebre, con un’acherontica assenza di speranza.
La prima parte (Morgendämmerung) comincia con un gesto sonoro violentissimo, come un’improvvisa e graffiante zampata di una bestia feroce (un gesto simile lo si trova all’inizio di États-Limites), da cui emerge un rombante e grave ronzo cosmico (archetipo della musica di Eloy: suono come ‘fuoco meditante’). A questo si sovrappone una lontana e fantasmagorica musica liturgica, una sfavillante anamorfosi di un’antica melodia gregoriana, il Veni Creator Spiritus realizzato in maniera puramente elettroacustica. Dopo una graduale crescita e agitazione interna della materia, si ha una contemplazione oscura di massicci blocchi sonori. Contemplazione è un essere attenti e quieti, nel vuoto, senza oggetti di desiderio: restare fissi sulla sensazione della presenza di Dio – che è non è soltanto luce, ma anche tenebra. Per quanto sia dolorosa, traversando la notte oscura si esperisce una trasformazione purificante.
Dall’oscurità emerge a poco a poco una luce: la lunga sezione finale è un’estasi gloriosa su una triade maggiore centrale che dura più di venti minuti, un momento di estatica stasi, di illuminazione mistica e di giubilo dinanzi alla luce divina ritrovata nel punto più profondo della notte. Qui l’accordo maggiore è utilizzato come mero ma efficace ‘oggetto sonoro’ al di là di qualsiasi logica armonica funzionale. È un’estasi musicale che può ricordare la vibrante e abbagliante triade di do maggiore (simbolo della luce) alla fine del San Francesco di Olivier Messiaen.
Tuttavia, dopo questo fulgido momento al termine di Morgendämmerung, la seconda parte (Dämmerlicht) è una ricaduta nel buio, una vera discesa agli inferi, in un Ade crudele, dove si assiste ad una progressiva distruzione di ogni speranza. Attraverso dubbi e tensioni si arriva ad una confrontazione finale, ad una diretta esperienza del Male – un’evocazione del tutto astratta della violenza di Auschwitz. Il tragico flusso sonoro si spegne poi funereamente. In una luce d’orizzonte fioca ed accecante sembra di scorgere distese sconfinate di cadaveri, di sentire grida raccapriccianti di dolore e suoni di forni crematori.
“Memoriale per l’umanità della terra. Pianeta e citta di Ektalar (20.000 anni prima dell’era universale)”: così è intitolata l’evocativa immagine digitale riprodotta sulla copertina del doppio CD di Le Minuit de la Foi pubblicato recentemente da hors territoires: questo bluastro paesaggio pietroso (tombe ad infinitum) ha in qualche modo a che fare con i suoni che si ascoltano durante i terminali minuti dell’opera.
L’implacabile e rabbrividente finale è preceduto da un’ultima citazione dalla Scientia Crucis, a cui Eloy dà particolare rilievo strutturale:
“È il grande mistero della libertà personale, che Dio stesso si arresta dinanzi ad essa”.
Leopoldo Siano (Colonia, 22 febbraio 2015)
Citazioni dalla Scientia Crucis di Edith Stein utilizzate in LE MINUIT DE LA FOI di Jean-Claude Eloy (traduzione dal tedesco di Leopoldo Siano)
PARTE PRIMA: MORGENDÄMMERUNG
I
Già sappiamo dalla notte dei sensi che arriva il momento in cui l’anima è privata del gusto di tutti gli esercizi spirituali come anche di tutte le cose terrene. Essa viene completamente sprofondata nell’oscurità e nel vuoto.
II
Ma come la notte cosmica non è ugualmente oscura in tutta la sua durata, così anche la notte mistica ha diverse fasi e corrispondenti gradi di intensità. L’inabissamento del mondo dei sensi è come il calare della notte, pur rimanendo uno scampolo di luce crepuscolare della chiarezza diurna. La fede, di contro, è oscurità della mezzanotte, perché a svanire non è soltanto l’attività dei sensi, ma anche la naturale conoscenza razionale. Quando però l’anima trova Dio, allora nella sua notte irrompe di già l’alba del nuovo giorno dell’eternità.
SECONDA PARTE: DÄMMERLICHT
III
È per questo che anche la memoria deve essere purificata…
IV
Il punto più profondo è al contempo anche il luogo della sua libertà: il luogo dove l’anima può raccogliere tutto il suo essere e decidere su di esso.
V
… perché colui che non si possiede del tutto, non può disporre di sé in maniera veramente libera, ma si lascia determinare dall’esterno.
VI
Dunque soltanto l’anima che è giunta al massimo grado della perfezione, può decidere in perfetta libertà?
VII
È il grande mistero della libertà personale, che Dio stesso si arresta dinanzi ad essa.
La Via di Jean-Claude Eloy
“V’è della follia in tutte queste opere, una follia salvatrice”. Così scrive Èric Cordier in un recente articolo sulla musica di Jean-Claude Eloy. Una volta c’erano i ‘folli di Dio’, oggi vi sono i ‘folli del suono’, ed Eloy è tra questi. La sua è una ricerca spirituale attraverso i suoni e nel suono. Per questo c’è chi lo considera come una sorta di ‘monaco’. Eloy non rifiuta che in parte l’appellativo, precisando tuttavia che nel suo caso non si tratta di un monaco alla ricerca di Dio, bensì alla ricerca del Suono. Qualcuno forse obietterà – rifacendosi a qualche antico mito cosmogonico – che Dio e suono sono la medesima cosa. Ma questo importa poco ad Eloy, o così vuol lasciarci intendere. Ad ogni modo egli dice che per il suono sarebbe disposto ad andare financo all’inferno!
Come Edgard Varèse, Eloy è un compositore ‘extra-territoriale’. Il nome della casa editrice e discografica da egli fondata nel 2004 è programmatico: hors territoires. Solitario, estremo, antiaccademico, intransigente, estraneo a scuole, mode e ideologie, Eloy è al di fuori di qualsiasi territorio. Il suo percorso artistico-esistenziale è ricco e tortuoso.
Nato in Francia nel 1938, egli compie studi musicali tradizionali al Conservatorio di Parigi, dove tra i suoi insegnanti figurano nomi prestigiosi quali Darius Milhaud e Maurice Martenot. Da giovane è un eccellente pianista. Suona Bach, i classici, la musica romantica, il suo amato Debussy. Al di fuori dell’ambito accademico si interessa clandestinamente alla musica più nuova del suo tempo, Webern, Messiaen, la musica seriale. Il giovane Eloy non coltiva soltanto interessi musicali. Legge molto, soprattutto la poesia surrealista, Paul Eluard, André Breton, Henri Michaux. Altra sua passione è il cinematografo, che lo influenzerà non poco nel suo lavoro compositivo (un critico canadese definì Shânti ‘cinema per le orecchie’; e il sottotitolo di Gaku-no-Michi è: ‘film senza immagini’).
Ancora adolescente si appassiona alle musiche tradizionali del mondo, ascolta il gagaku giapponese, il dhrupad indiano, il gamelan indonesiano, la musica classica dell’Iran, il canto liturgico dei monaci del Tibet… Questi ascolti amorosi ed assidui plasmano la sua sensibilità acustica e risulteranno fondamentali per la sua evoluzione di compositore. Ben lontano da qualsivoglia esotismo, Eloy sviluppa in una maniera tutta originale l’idea stockhauseniana della ‘Weltmusik’, aspirando ad una musica meticcia, transculturale, ad una musica che sorge dalla fusione e dalla reciproca trasformazione di diverse culture, dalla loro ‘intermodulazione’.
Negli anni sessanta Eloy è tra i più promettenti allievi di Pierre Boulez, dal quale in seguito prende nettamente le distanze. Gli anni trascorsi negli Stati Uniti (1966-1970), prima come professore all’University of California, Berkeley, poi come vagabondo tra i deserti americani, sono ricchi di esperienze, lo aiutano a liberarsi dai dogmi estetici vigenti in Europa e trovare la sua vera voce. Il suo ritorno in Francia nel 1970 segna un nuovo inizio, Eloy è deciso a percorre la sua strada con radicalità e senza accettare compromessi. Il punto di svolta è Kâmakalâ (Il triangolo delle energie) per tre orchestre, cinque gruppi corali e tre direttori, opera in cui i riferimenti alle musiche tradizionali d’Oriente si fanno del tutto palesi. Poi Shânti (Pace), per suoni elettronici e concreti, inaugura una serie di impressionanti affreschi sonori che si contraddistinguono per la fantasia surrealistica, il carattere meditativo, l’intensità acustica, e non da ultimo per le lunghe durate. Shânti dura circa due ore. Gaku-no-Michi (Le Vie della Musica) dura più o meno il doppio di Shânti. Una durata simile ce l’ha Yo-In(Riverberazioni). A causa della loro lunga durata queste opere non si lasciano programmare agevolmente in normali festivals di nuova musica, nell’ambito dei quali la durata media delle composizioni è piuttosto standardizzata e convenzionale (10-15 minuti).
Alcune opere elettroacustiche di Eloy prevedono inoltre una particolare prassi esecutiva: egli usa cominciare e chiudere un concerto rispettivamente con un ‘suono d’introduzione’ e un ‘suono di prolungamento’, delle statichetexture elettroacustiche che teoricamente potrebbero continuare ad infinitum. Sta a dire che la musica comincia prima dell’arrivo del pubblico, e termina soltanto quando l’ultimo ascoltatore ha abbandonato la sala. Tra questi due poli estremi si dispiega l’intero arco drammaturgico degli eventi sonori. Tale prassi esecutiva esclude dunque la possibilità dell’applauso. Eloy rifiuta l’applauso. Anche in ciò si rivela la sua attitudine ‘monacale’. Avrebbe senso per esempio applaudire dei monaci dopo il compimento di un rituale, siano essi buddhisti, cristiani o taoisti?
Eloy è un grande inattuale, come lo fu al suo tempo Gustav Mahler. In un’epoca di accelerazione globale Eloy osa comporre opere dalla lunga o lunghissima durata, viaggi sonori dal respiro epico, prediligendo dimensioni temporali meditative; in un mondo quasi del tutto desacralizzato propone un contatto con il sacro ed invita alla contemplazione; in una società dominata dal visuale, pone l’accento sull’importanza dell’ascolto concentrato e prolungato.
Per Eloy la musica rappresenta in senso enfatico una ‘via di conoscenza’. La sua opera è oggi quanto mai inattuale e al contempo profondamente necessaria. Può essere un antidoto. Proprio per questo il suo tempo verrà, o è già venuto.
La musica di Eloy è tra le più intense della nostra epoca. Essa ha un potere trasformativo, può condurre assai lontano. Dopo un concerto di Eloy, l’ascoltatore non è più la stessa persona. Bisogna soltanto avere disponibilità d’animo, abbandonarsi al flusso.
Leopoldo Siano, Colonia, marzo 2013
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