sabato 4 maggio 2013 – ore 21.30 – Sala Farnese di Palazzo D’Accursio – BOLOGNA Ω
> Jean-Claude Eloy SHÂNTI (Francia) prima apparizione italiana
Jean-Claude Eloy (Francia, 1938)
SHÂNTI [PACE], musica di meditazione per suoni elettronici e concreti (1972/73)
prima italiana
(circa 140′ ininterrotti, senza considerare i suoni d’introduzione e di prolungamento)
Produzione: Studio für Elektronische Musik, WDR (Westdeutscher Rundfunk) Colonia
Versione rivista e digitalizzata nel 2001 e 2006
Son d’introduction: avant Shânti (infini)
[Suono d’introduzione: prima del concerto (infinito)]
I – Partie d’ouverture [Parte d’apertura] – (circa 31′ / 32′)
1) Les foules de la mémoire [Le folle della memoria]
2) Son de méditation [Suono di meditazione]
II – Partie d’extension [Parte d’estensione] – (circa 36′ / 37′) 3) Prémonitions [Premonizioni]
4) Flash-back
5) Interview [Intervista] (Aurobindo / Mao)
III – Partie centrale [Parte centrale] – (circa 34′ / 35′) 6) Mantra des étoiles [Mantra delle stelle]
7) Soldats [Soldati]
IV – Partie finale [Parte finale] – (circa 38′ / 39′) 8) Vagues lentes, boucles de feux [Onde lente, anelli di fuoco]
9) Contemplation aux enfants [Contemplazione dei bambini]
10) Vastitude [Vastità]
Son de prolongation: après Shânti (infini)
[Suono di prolungamento: dopo il concerto (infinito)]
Jean-Claude Eloy regia del suono
musiche di Jean-Claude Eloy
a cura di Leopoldo Siano
Ω un certain regard… un progetto di AngelicA; concerto nell’ambito del Festival di musica “Suona francese”, organizzato dall’Ambasciata di Francia in Italia e dall’Institut français Italia, con il sostegno dell’Institut français, della Fondazione Nuovi Mecenati, della SACEM e del Ministero dell’Istruzione e della Ricerca – Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica
Biglietti 5 €
La Biglietteria apre 30 minuti prima dell’orario del concerto
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“Shânti”, parola sanscrita, significa pace. È innanzitutto la pace del mentale, la pace suprema ricercata dagli yogi. O ancora la pace psichica ed emotiva dell’essere. È anche la pace politica o la pace delle forze elementari, della natura, dell’universo. Ma per me, nessun concetto può esistere al mondo senza il suo contrario, il suo principio antagonista. In questo caso: le forze d’opposizione, di rivolta, di “guerra” (nel senso largo del termine), dalle sorde esplosioni di un vulcano alle barricate degli studenti…
Shânti è dunque per me questa pace rimessa continuamente in causa (infine impossibile, perché la fine degli antagonismi e delle lotte significherebbe la fine del mondo): la Pace nel senso di Eraclito, una pace che presuppone sempre la lotta, la violenza come condizione del mondo, il rapporto dialettico tra le cose. Da qui questo cammino tortuoso e incessante, una ricerca eterna, uno scopo talvolta raggiunto, sovente soltanto intravisto: frammenti d’eternità tra due nuvole…
Non ci si lasci dunque ingannare: Shânti non è per niente una pace stabile, continua, “librantesi”. Bisogna andare a cercarsela, sprofondando progressivamente nel suono, di lunga sequenza in lunga sequenza. L’intera struttura di quest’opera è una lenta e perpetua spirale, illimitata… (1)
[…] Quando cominciai a lavorare allo Studio di Musica Elettronica della Radio di Colonia, avevo intenzione di realizzare un breve “studio” di circa dieci minuti: un atteggiamento prudente, perché fino a quel momento le circostanze della mia vita mi avevano dato ben poche possibilità di essere in contatto con l’elettronica – motivo per me di grande rammarico. […]. All’inizio dovetti inevitabilmente procedere a tentoni, ma col trascorre dei giorni mi sentivo sempre più a mio agio nello Studio, andavo alla ricerca di circuiti sempre più complessi.
Notai allora che i suoni che producevo avevano uno strano potere: ogni volta che, dopo averlo cercato a lungo, decidevo di registrare un suono per stoccare un po’ di “materiale” da utilizzare eventualmente in seguito, gli orologi dello studio sembravano impazzire! Credevo di aver registrato tre o quattro minuti, ma quando arrestavo i magnetofoni, gli orologi m’indicavano che erano già trascorsi dieci minuti – talvolta di più… Il fenomeno è stato per me assai rivelatore: tutto ciò che avevo scoperto durante l’ascolto approfondito delle musiche dell’Oriente (l’espansione temporale provocata dalle fluttuazioni interne dei corpi acustici) esplodeva, moltiplicato, nello studio elettronico! Questa scoperta mi aveva dunque condotto a capovolgere le mie prospettive.
[…] Shânti non impone questo o quell’aspetto del mondo. Nella masse sonore come nei frammenti di testi che trovano posto in questo lavoro, io non “scelgo” Sri Aurobindo invece di, per esempio, Eldridge Cleaver o Mao Tse-Tung: li pongo l’uno alla presenza dell’altro e davanti a voi, allo stesso modo in cui presento le forze più diverse del suono, le une davanti alle altre: “Tutto mi riguarda”. Come sottolinea Mao Tse-Tung: “Wai Tcheng, che visse sotto la dinastia dei Tang, disse: ascoltare tutte le parti ti illumina, ascoltarne soltanto una ti fa cadere nelle tenebre”. (2)
Shânti è dedicato a Karlheinz Stockhausen.
Jean-Claude Eloy
(1) Estratto dalla presentazione redatta nel 1978 per l’album LPs “Shânti” pubblicato da Erato (STU 71205-6).
(2) Estratto dal testo pubblicato nel programma del festival « The London Music Digest », « Round House », Londra, 1975.
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La Via di Jean-Claude Eloy. “V’è della follia in tutte queste opere, una follia salvatrice”. Così scrive Èric Cordier in un recente articolo sulla musica di Jean-Claude Eloy. Una volta c’erano i ‘folli di Dio’, oggi vi sono i ‘folli del suono’, ed Eloy è tra questi. La sua è una ricerca spirituale attraverso i suoni e nel suono. Per questo c’è chi lo considera come una sorta di ‘monaco’. Eloy non rifiuta che in parte l’appellativo, precisando tuttavia che nel suo caso non si tratta di un monaco alla ricerca di Dio, bensì alla ricerca del suono. Qualcuno forse obietterà che Dio e suono sono la medesima cosa. Ma questo importa poco ad Eloy, o così vuol lasciarci intendere. Ad ogni modo egli dice che per il suono sarebbe disposto ad andare financo all’inferno!
Solitario, estremo, antiaccademico, intransigente, estraneo a scuole, mode e ideologie, come Edgard Varèse, Eloy è un compositore ‘extra-territoriale’. Il nome della casa editrice e discografica da egli fondata è programmatico: hors territoires.
Nato in Francia nel 1938, egli compie studi musicali tradizionali al Conservatorio di Parigi, dove tra i suoi insegnanti figurano Darius Milhaud e Maurice Martenot. Da giovane è un bravo pianista. Suona Bach, i classici, la musica romantica, il suo amato Debussy. Al di fuori dell’ambito accademico si interessa clandestinamente alla musica più nuova del suo tempo, Webern, Messiaen, la musica seriale. Il giovane Eloy non coltiva soltanto interessi musicali. Legge molto, soprattutto la poesia surrealista, Eluard, Breton, Michaux. Altra sua passione è il cinematografo, che lo influenzerà non poco nel suo lavoro compositivo (un critico canadese definì Shânti ‘cinema per le orecchie’; e il sottotitolo di Gaku-no-Michi è: ‘film senza immagini’). Ancora adolescente si appassiona alle musiche tradizionali del mondo, ascolta il gagaku giapponese, il dhrupad indiano, il gamelan indonesiano, la musica classica dell’Iran, il canto liturgico dei monaci del Tibet… Questi ascolti amorosi ed assidui plasmano la sua sensibilità acustica e risulteranno fondamentali per la sua evoluzione di compositore. Ben lontano da qualsivoglia esotismo, Eloy sviluppa in una maniera tutta originale l’idea stockhauseniana della ‘Weltmusik’, aspirando ad una musica che sorge dalla fusione e dalla reciproca trasformazione di diverse culture, dalla loro ‘intermodulazione’.
Dopo essersi distaccato nettamente dal suo maestro Pierre Boulez, dall’inizio degli anni settanta Eloy percorre una strada radicale componendo una serie di impressionanti affreschi sonori che si contraddistinguono per la fantasia surrealistica, il carattere meditativo, l’intensità acustica, e non da ultimo per le lunghe durate.
L’opera di Eloy è oggi quanto mai inattuale e al contempo profondamente necessaria. Può essere un antidoto. In un’epoca di accelerazione globale Eloy osa comporre opere dalla lunga o lunghissima durata (fino a 4-5 ore senza interruzione), viaggi sonori dal respiro epico, prediligendo dimensioni temporali meditative; in un mondo quasi del tutto desacralizzato propone un contatto con il sacro ed invita alla contemplazione; in una società dominata dal visuale, pone l’accento sull’importanza dell’ascolto concentrato.
La musica di Eloy è tra le più intense della nostra epoca. Essa ha un potere trasformativo, può condurre assai lontano. Dopo un concerto di Eloy, l’ascoltatore non è più la stessa persona. Bisogna soltanto avere disponibilità d’animo, lasciarsi andare, abbandonarsi al flusso.
Leopoldo Siano
Colonia, 22 marzo 2013
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